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Argomento assai dibattuto è la presenza dei nostri amici a quattro zampe in condominio, e se essa possa in qualche modo essere vietata da regolamenti condominiali.

Importante è anche stabilire se l’eventuale disturbo degli animali possa in qualche modo arrecare danno ai soggetti terzi.

Vediamo nel dettaglio cosa suggerisce il nostro codice civile in merito agli argomenti summenzionati.

Art. 844 c.c. riguardante le immissioni.

“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alle condizioni dei luoghi.”

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.

Altro articolo riguardante la fattispecie suindicata è il 1102 c.c.- uso della cosa comune-.

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non e altri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

Articolo 1138 c.c. –regolamento di condominio-.

Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a 10, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.[…]”.

“Le norme del regolamento non possono vietare di possedere detenere animali domestici”.

Interessante è l’ultimo comma dell’articolo 1138 c.c., introdotto nel 2012, il quale riconosce ancora una volta l’estremo rilievo del rapporto affettivo con gli animali, riconoscendo e tutelando il diritto alla coabitazione con gli stessi.

Prima ancora di tale introduzione la Cassazione, con sentenza n. 3705/2011, aveva chiarito che il divieto di detenere animali all’interno di appartamenti di un edificio condominiale non poteva essere contenuto in regolamenti ordinari.

Questi, infatti, non possono imporre limitazioni al diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato loro appartenenti in esclusiva.

A seguito della riforma del 2012 si è sviluppato un acceso dibattito circa l’applicabilità della norma ai regolamenti contrattuali antecedenti.

Non appare convincente la tesi che ritiene la norma applicabile solo ai regolamenti approvati a seguito della sua entrata in vigore: infatti, come chiarito anche dalla sentenza della Cassazione n. 5052/2001, la norma sopravvenuta priva semplicemente il rapporto della capacità di produrre effetti ulteriori.

In considerazione del rilievo che il legislatore ha voluto riconoscere al rapporto affettivo con gli animali d’affezione, anche ulteriori clausole limitatrici inserite in differenti tipi di contratti, come ad esempio il contratto di locazione, appaiono illegittime.

Infatti, l’articolo 1322 c.c. afferma che, le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto purché esso sia indirizzato a realizzare interessi meritevoli di tutela.

Il diritto di sviluppare un rapporto affettivo con un animale risulta, alla luce delle evoluzioni legislative e giurisprudenziali, italiane ed europee, un interesse superiore alla volontà di impedire eventuali danni alla propria proprietà ben potendo il locatore tutelarsi semplicemente inserendo l’obbligo di stipulare un’assicurazione nei confronti del cosiddetto rischio locativo.

La riforma del 2012 ha ovviamente influito anche sulla disciplina relativa all’utilizzo delle parti comuni: appare ormai incontestabile il diritto del loro utilizzo da parte dei detentori di animali in compagnia degli stessi.

Sul punto, la Cassazione aveva già chiarito, con sentenza n. 14353/2000, che gli animali vanno comunque condotti nelle parti comuni adottando le cautele richieste dall’ordinario criterio di prudenza.

In caso contrario, si potrebbe assistere a una limitazione non consentita del pari diritto degli altri condomini sui medesimi spazi.

Per quanto concerne, invece, le possibili molestie agli altri condomini derivanti dalle immissioni di natura acustica, come ad esempio l’abbaio, la Cassazione n. 7856/2008 ha stabilito che la natura del cane non può essere coartata al punto tale da impedirgli del tutto di abbaiare.

Occorrerà dunque dimostrare che tali immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, come ad esempio in caso di abbaio continua e ininterrotto durante l’orario notturno.

A proposito di tal questione sono interessanti due:

  • Cassazioni la n. 7856/2008 di cui si riporta la massima: “episodi saltuari di disturbo arrecati dall’abbaiare del cane, come ad esempio al suono del campanello o alla salita dell’ascensore, in violazione del regolamento condominiale, non impongono ai proprietari di coartare la natura dell’animale a tal punto fino ad impedirgli di abbaiare del tutto”.

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  • Cassazione N. 3705/2011: “il divieto di tenere negli appartamenti comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni della facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”.